Care amiche/i

Si dice che Il Partito Democratico sia la più grande intuizione politica degli ultimi venti anni. Molto probabilmente è anche vero, credo altresì che ci siamo sbarazzati forse troppo frettolosamente dell’Ulivo, e non ne abbiamo forse colto tutte le opportunità e quindi neanche i frutti, (considero un frutto avvelenato aver vinto le elezioni nel 2006 e aver dovuto governare in quelle condizioni).

Così come considero inadeguato e insoddisfacente l’operato del nostro partito in questi primi due anni di vita, credo che possiamo fare di meglio per almeno tentare di colmare il vaso pieno delle aspettative che quattro milioni di elettori avevano riposto in noi e nel nuovo partito.

Credo sia doveroso porci qualche domanda: a partire dal perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo consensi e voti, invece di suscitarne di nuovi.

Evidentemente i motivi sono molteplici: mancanza di una politica di radicamento sul territorio, di confronto con i ceti popolari, le categorie produttive. E’ prevalsa spesso la suggestione mediatica alla definizione di una riconoscibile identità politica. E’ successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico, ma soprattutto, dopo aver fatto diventare la partecipazione popolare alle Primarie l’elemento risolutore dei problemi di partecipazione, credo ricordiate tutti il giorno delle primarie a Pioltello con i seggi allestiti nei quartieri sotto i gazebi, dove si  è scritta una delle pagine più tristi della partecipazione collettiva, il voto di alcuni milioni di persone non è stato sufficiente a permetterci di costruire un’organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli.

Il Partito democratico nasce per i giovani di oggi, per “fare nuova storia” come diceva Antonio Gramsci, non certo per dirimere dispute politiche di qualche decennio fa. Ai miei occhi è una sfida straordinaria. Una grande opportunità per la sinistra italiana. Vogliamo che il PD sappia convincere e vincere. Avverto però che la nostra classe dirigente stenta nel ridefinire un recinto democratico, il nostro gruppo dirigente deve uscire dalle logiche della politica oligarchica e autoreferenziale». «O il nuovo partito saprà farsi strumento per consentire una risposta alla crisi della democrazia italiana oppure saremo tutti drammaticamente travolti da questa crisi». Per me essere di sinistra vuol dire rispondere alle domande del mondo. La sinistra non è un’enclave, né una rendita di posizione. La sfida politica non può che avvenire in campo aperto, attorno a un progetto di cambiamento, per il governo delle cose. È l’egemonia di cui parlava Gramsci. È il lascito del Pci che, anche dall’opposizione, fu parte decisiva nella costruzione e della crescita della democrazia in Italia».

L’idea del Partito democratico come fattore di razionalizzazione del campo di forze del centrosinistra mi pare anch’essa insufficiente.

 

Un partito vive se è protagonista di una politica, se è libero di progettare, se è responsabile delle sue scelte davanti agli aderenti e agli elettori. Che fascino può avere un partito che si propone solo come mediatore tra alleati?». Ma il punto resta la lunga stagione di crisi della democrazia, che ha fatto svanire l’ottimistica prospettiva di una sua inarrestabile espansione: Fanatismo e ideologie tra l’altro possono riempire i vuoti di democrazia.

La mercatizzazione crescente delle relazioni tra gli uomini ha rotto il compromesso democratico che il socialismo aveva imposto al capitalismo industriale, e l’economia globale sta travolgendo la sovranità della politica: c’è questo all’origine della crisi di fiducia dei cittadini. Il PD deve essere il vettore di una nuova idea di sovranità democratica. L’Italia ha bisogno di una riscossa civica e noi dobbiamo esserne i protagonisti. Per questo vogliamo lavorare ad un partito popolare, laico, riformista. Un partito per l’uguaglianza, la solidarietà, il merito, la giustizia sociale. Un partito che rappresenti e che si faccia carico delle aspettative delle giovani generazioni. Un partito che sia dalla parte di tante donne che ancora cercano opportunità. Un partito che si riconosca come comunità di valori, idee e persone. Spero che nel nuovo partito ci si possa trovare insieme guardando al futuro e non per il passato.

Purtroppo, però, quando si scriveranno i libri di storia, il ventennio passato sarà ricordato come l’era di Berlusconi, non come quello dell’Ulivo. Ritengo quindi piuttosto velleitario pensare di incidere senza una forza capace di grandi numeri, del resto, il potere reale nel frattempo è rimasto saldamente nelle mani del salotto buono del capitalismo italiano, ricco di relazioni e povero di capitali». Per questo il Partito democratico più che un’opportunità e un dovere: Nessun riformismo può essere basato su lavori precari e vite da scarto, quelle vite operaie che sempre più frequentemente sono perdute in luoghi di lavori sempre più spesso insicuri, dopo le ubriacature da mercato degli anni 90 dove si è teorizzato che sarebbe bastato l’effetto regolatore dello stesso, io penso si debba intervenire innanzitutto facendo in modo che i lavoratori possano mettere le mani nei profitti delle aziende, senza dover condannare i poveri metalmeccanici a dover salire sulle gru sui tetti e ad esercitarsi in mille attività ad alto rischio purchè dotate di audience chiamando in causa anche il sindacato ricordando che i temi e i rapporti sono molto cambiati.

Noi siamo un paese che merita di più, anche in presenza di un tessuto connetivo del paese molto debole che senza le opportune riforme rischia pesantemente di fronte ai temi che la globalizzazione ci propone inesorabilmente di sprofondare.

E’ a rischio la coesione del Paese, e si evidenzia infatti non solo nell’antico squilibrio tra Sud e Nord, ma nell’intera organizzazione sociale: tra un’aristocrazia economica da una parte e classi medie impaurite dall’altra, tra chi si arricchisce con le rendite e chi s’impoverisce lavorando,tra chi scommette sul futuro e chi recinta l’esistente.

Altro elemento si evidenzia con l’indebolimento del lavoro, in netto contrasto con la sua rilevanza nell’economia della conoscenza. Le conseguenze si sono sentite sui redditi dei lavoratori dipendenti, rimasti bloccati in termini reali, sulle donne trattate spesso come anello debole, e sui giovani che hanno subito una precarizzazione senza diritti, oppure con le inaccettabili morti bianche, è venuta meno quella dignità del lavoro che la Costituzione pone a fondamento della cittadinanza.