Tema della riflessione: (Parte 1)

       “Il faticoso cammino del movimento socialista
e la mancata rivoluzione in Occidente”.

Seminario tenuto da Vittorio Moioli
Settembre 1998

Nella sede del PDS di Pioltello Segretario Antonello Concas

1748

Con la pace di Aquisgrana il territorio su cui oggi insiste l’Italia risulta suddiviso in nove Stati: il Regno di Sardegna (costituito da Piemonte Sardegna, Savoia e Nizza), la Repubblica di Genova, quella di Venezia, quella di Lucca, il Ducato di Parma e Piacenza, il Ducato di Modena, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa e, infine, il Regno delle Due Sicilie. Lombardia e Triveneto sono invece sotto l’egemonia dell’Austria.
Rispetto al periodo precedente, quando il territorio italiano contava un’ottantina di Stati e staterelli, questa suddivisione rappresenta un grande progresso.
In questo periodo, tutta la vecchia economia feudale fondata sulla proprietà nobiliare ed ecclesiastica della terra si presenta in grave crisi. La contraddistinguono infatti forti elementi di assenteismo e una scarsità di investimenti. 
La Chiesa ha perduto gran parte della sua forza su scala internazionale e la sua influenza sugli Stati italiani è venuta scemando.

1760-1780

Nel Lancashire del Nord, in Inghilterra, nel 1764 viene realizzata, dal tessitore James Hargreaves, la rudimentale jenny  la quale, con i suoi sedici-diciotto fusi azionati a mano da un solo filatore, e unitamente alla spinning trastle  del barbiere Richard Arkwright, inventata tre anni dopo, apre la nuova era capitalistica.

Fu appunto nella branca produttrice dei beni di consumo tessili che ebbe inizio il processo di meccanizzazione della produzione. Solo per i prodotti di questo settore, infatti, nel secolo XVIII si poteva contare su un mercato formato da un numero relativamente consistente di consumatori.

Il vapore, le scoperte scientifiche e le invenzioni meccaniche, trasformando i mezzi di produzione, incrementano la divisione del lavoro e danno inizio a quella rivoluzione da cui nascerà, insieme alla grande industria, il moderno proletariato.

Se, nel campo del macchinismo, sono le invenzioni inglesi a fornire alla borghesia i mezzi per trasformare tecnicamente il sistema produttivo, è solo con la rivoluzione francese che diventa possibile l’abbattimento del sistema feudale e con esso l’abolizione di tutti quei privilegi e vincoli legali che intralciavano il passaggio della proprietà dei beni. Fu infatti necessario rinnovare anche le sovrastrutture politiche e culturali perché si creassero le condizioni indispensabili all’attuazione della rivoluzione industriale.

Nelle regioni italiane, dove tra la metà e la fine del secolo XVIII il processo di industrializzazione è ancora al di là da venire, per la nascente borghesia si delinea la contingente esigenza di commerciare i beni terrieri e realizzare denaro contante.

Se il contratto di mezzadria (divisione dei prodotti fra coltivatore e proprietario) aveva rappresentato di per sé un progresso rispetto ai contratti di enfiteusi (diritto di godimento con obbligo di canone d’affitto soprattutto in natura) e di colonia perpetua, i quali erano dei veri residui medievali, a sua volta, questa forma di rapporto economico-sociale faceva evolvere la situazione verso l’affitto delle terre dietro pagamento del canone in denaro.

Da questi mutamenti ne consegue un incremento sia della produzione agricola che del reddito agrario, fattori questi che hanno indubbiamente favorito una certa accumulazione di capitali e incoraggiato l’innovazione dei sistemi di produzione.

Nelle aree della pianura padana e del Piemonte, nel periodo che va dalla metà del ‘700 alla metà dell’800, un rinnovato slancio dei traffici interni e internazionali spazza via i rapporti che erano caratteristici del sistema mezzadrile, determinando di conseguenza un allarmante aumento dello stato di miseria dei lavoratori della terra sulle cui spalle venivano scaricati i costi della modernizzazione.

Le condizioni materiali per cui la borghesia, verso la fine del secolo XVIII, potrà estendere la sua presa egemonica si verificheranno solo in Piemonte, in Lombardia e in Toscana, uniche realtà queste che conoscono un certo livello di sviluppo socio-economico.

Alla fine del XVIII secolo, prima dell’occupazione francese, la penisola italiana risulta ancora frazionata in più Stati e a questo spezzettamento politico-amministrativo corrispondono altrettante gabelle che pesano sui traffici commerciali fra uno Stato e l’altro, causa l’esistenza di dogane interne. La situazione è oltretutto aggravata dalla scarsità e dalla difficoltà di percorrenza delle strade.

A quel tempo, risulta per di più radicato nelle classi possidenti uno spirito retrivo per cui si ritiene che la sola ricchezza sicura sia costituita dalla proprietà fondiaria, mentre sulla possibilità d’investimenti in imprese industriali gravano ancora molti pregiudizi.

Il clero delle città e delle campagne vede nel progresso scientifico e meccanico “il diavolo ” e questa mentalità diffusa frena i processi di innovazione.

Con il frazionamento delle terre, comunque, si incrementano le manifatture legate all’agricoltura, alla produzione dei bozzoli, e quindi la filatura e la tessitura conoscono un sensibile sviluppo.

E’ questa l’epoca in cui a Como e nel comasco si sviluppa l’industria della seta.

La ricchezza cessa così, a poco a poco, di essere un’esclusiva dell’antica aristocrazia fondiaria e diventa patrimonio anche della nascente borghesia.

1776

In varie città della penisola si verificano le prime agitazioni popolari le quali costituiscono gli embrioni del movimento operaio. A scendere in sciopero sono gli stessi tessitori comaschi.

1780-1789

Si registra in questi anni, anche nelle regioni italiane, una intensificazione degli scioperi e nel campo dell’industria incomincia a prendere corpo la lotta di classe. Le istituzioni statali, da parte loro, reagiscono intervenendo a difesa degli interessi del capitale.

1783

A Milano viene fondato il Pio Istituto Filarmonico dei professori d’orchestra facenti capo ai Regi Teatri.

1787

A Bra (Cuneo) viene fondata la Società del Falegname.

1789

In Francia, la borghesia, divenuta economicamente potente, scatena con successo la battaglia per la conquista del potere: ha luogo la “Rivoluzione francese ”.  Nel moto rivoluzionario vengono attratti i primi nuclei operai, nonché gli artigiani il cui stato sociale risulta soffocato dai regolamenti delle corporazioni medievali.

Sarti, parrucchieri, calzolai, tipografi, incominciano a  riunirsi nelle “leghe ” che sono organizzazioni indipendenti e diverse dalle corporazioni. Le “leghe ” si propongono infatti scopi di mutua assistenza e si mobilitano, anche proclamando scioperi al fine di ottenere miglioramenti salariali.

Gli alleati fondamentali della borghesia rivoluzionaria francese restano però i contadini.

La rivoluzione francese ebbe sviluppi molto più avanzati rispetto a quelli di altre rivoluzioni democratico-borghesi e le sue ripercussioni determinarono un processo di accelerazione della fine dell’epoca feudale in Europa.

Non è un caso che proprio nelle armate francesi, quelle che negli anni successivi occuperanno l’Italia, i democratici intravedranno coloro che avrebbero scacciato le vecchie corti, abolito i privilegi feudali e liberato le terre dalla dominazione austriaca.

1791

In Francia scoppia, su vasta scala, un conflitto violento tra gli operai edili e gli imprenditori i quali negano gli aumenti salariali che i loro dipendenti rivendicano. Vengono a quel punto proibite sia le organizzazioni operaie che gli scioperi. Da allora, e fino al 1866, tutte le manifestazioni e agitazioni operaie verranno considerate alla stregua di delitti e saranno conseguentemente punite come tali.

1793

In Francia il dissidio fra la borghesia e la classe operaia diventa sempre più aspro. I girondini (repubblicani-progressisti) e i montagnardi (giacobini), sono in urto fra di loro, però si trovano concordi e solidali nel contrastare i movimenti popolari e gli scioperi operai.

1796

Napoleone occupa l’Italia e il territorio continentale viene suddiviso in soli tre Stati: Piemonte, Liguria, Toscana, Parma e Roma vengono aggregati alla Francia; Lombardia, Veneto, Romagna e Modena danno corpo al Regno d’Italia; il Meridione forma il Regno di Napoli.

Questo processo di graduale unificazione in pochi Stati fa sorgere l’idea dell’unità d’Italia. Leggi e codici emanati negli anni del dominio francese favoriranno infatti il diffondersi in tutta la penisola italiana di obiettivi di lotta comuni.

L’idea che una nazione italiana fosse sempre esistita, che essa avesse conosciuto fasi alterne di caduta nella subalternità e di gloriosa affermazione di sé, aveva larga diffusione e, nella fase preunitaria, era divenuta addirittura un mito. C’era infatti chi si aspettava si rinnovasse l’impero romano o si riproponessero i fasti dei comuni medievali. A quel tempo, insomma, il “popolo italiano ” risultava essere una creazione della fantasia piuttosto che una realtà. E tutto questo fa sì che il termine stesso di “risorgimento ” non sia altro che un’interpretazione ideologica.

Non si può del resto ignorare che idee come quelle di indipendenza, di nazionalità, di Stato nazionale, non sono sempre esistite; esse sono concetti storicamente determinati, che si sono affermati nel loro significato e valore attuali proprio nel periodo che vide il trionfo della moderna borghesia e del capitalismo.

La “dottrina politica della sovranità popolare ” viene appunto portata in Italia dagli occupanti francesi.

E’ proprio durante il cosiddetto “triennio giacobino ” (1796-99), quando cioè in Italia si assiste all’instaurazione di una serie di repubbliche, che si impone l’idea di una repubblica italiana, unica e indipendente, quale presupposto indispensabile per realizzare una società completamente nuova. Alle spalle, del resto, ci stavano secoli di quasi assoluta staticità.

La politica economica perseguita dai francesi in Italia risulterà comunque in funzione dei loro esclusivi interessi. Essi, infatti, si riforniranno di derrate alimentari, particolarmente di grano, di cavalli e bestiame, di seta grezza per le loro fabbriche di Lione, a condizioni di favore, mentre riempiranno i mercati italiani di prodotti finiti francesi senza alcun timore di concorrenza.

 

Quando in Italia arrivano i francesi, il macchinismo ha già cominciato a diffondersi largamente, però il gravame dei dazi e delle tasse rende impossibile la trasformazione dell’industria a mano in industria meccanica.

Oltretutto, per effetto del blocco commerciale imposto dall’occupazione militare, le manifatture italiane sono tra l’altro costrette a esportare solo in Francia e anche questo fatto frena il processo di innovazione.

Con l’invasione napoleonica il dominio di classe risulta diviso e conteso fra nobili e civili; le classi dei plebei e dei contadini restano sempre e comunque subalterne. Spesso la miseria, la fame, la superstizione provocano indignazione e sommovimenti contro i francesi (considerati e chiamati “giacobini ”) da parte delle più umili classi popolari di campagna e di città le quali diventano spesso  massa di manovra a disposizione della reazione (si ripropone cioè anche in Italia la cosiddetta “Vandea ”).

1797

Costituzione della Repubblica Ligure e della Repubblica Cisalpina.

1798

Costituzione della Repubblica Romana.

Anche in Italia, verso la fine del secolo, si registra un fiorire di utopie sociali. A Roma, ad esempio, tal Nicio Eritreo invoca leggi agrarie per distribuire a tutte le famiglie povere una sufficiente quantità di terra per cui esse possano sostentarsi. Tal Enrico Michele L’Aurora rivendica invece uno Stato unitario italiano che garantisca i principi costituzionali della giustizia, della libertà e dell’eguaglianza nel diritto. Mentre l’abate Maurizio Antonio Tocci invoca un comunismo volontario, attuato da una Società dei Cristiani Pari o “Famiglia dei Pari ”.

1799

Costituzione della Repubblica Partenopea.
ua a evolversi storicamente);
3) chiarisce le modalità di transizione dalla vecchia alla nuova società: il proletariato ne sarebbe stato il protagonista attraverso un movimento impegnato in una lotta di classe per “l’espropriazione degli espropriatori ”. Il socialismo cessa così di essere “utopistico ” e diventa “scientifico ”.
Il marxismo eserciterà però una reale influenza sui movimenti operai solo con l’avvento degli anni ‘70 e ‘80. Ai tempi di Marx, infatti, il socialismo che  raccoglie maggiormente l’adesione della classe operaia è quello che prospetta gruppi di produttori indipendenti senza la presenza di capitalisti, dotati dalla società stessa di capitali sufficienti perché possano risultare vitali, protetti e incoraggiati dunque dalla pubblica autorità, e a loro volta tenuti a doveri collettivi nei confronti del pubblico. E’ proprio in considerazione di questa visione del socialismo che assumono grande importanza politica sia il proudhonismo che il lassallianesimo.
A Parigi viene pubblicata la “Histoire du Communisme, ou réfutation des utopies socialistes ” di Alfredo Sudre in cui viene affermato che il comunismo è il pericolo più serio contro cui la società è chiamata a lottare. L’Italia vive la 1a guerra d’indipendenza. A Milano si svolgono le “Cinque giornate ” alle quali partecipa il popolo, mentre la nobiltà resta tappata in casa. Come nota Carlo Cattaneo, mentre 330 sono i morti e 773 i feriti fra il proletariato, fra il ceto medio si registrano 86 morti e 141 feriti e  fra gli aristocratici 47 morti e 65 feriti. Durante una sommossa a Bologna sui muri della città viene affisso un manifesto in cui tra l’altro è scritto: “E’ voto pubblico che il Governo, il Comune e i Ricchi facciano distribuzione di danaro alla Plebe la quale a prezzo del proprio sangue e della vita ha salvato i palazzi dal sacco e dagl’incendi  (degli austriaci)”. A Napoli , durante una manifestazione, la classe operaia chiede, oltre agli aumenti salariali, il divieto di introduzione delle macchine. E’ proprio all’indomani dei moti popolari del ‘48 che nelle Società di mutuo soccorso incomincia a maturare la “coscienza di classe ”.

…… continua